Nei giorni scorsi abbiamo fatto visita all’amico Marco Nicolosi presso l’azienda vinicola Barone di Villagrande in occasione di una giornata dimostrativa volta alla prova di un macchinario innovativo adatto a lavorare in tutti quei contesti in cui viene esercitata quella che prende il nome di “agricoltura eroica”.
Il termine “eroico” è utilizzato dal Centro di Ricerca, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana (CERVIM) per definire l’attività svolta in vigneti che presentano la pendenza del terreno superiore al 30%, altitudine superiore ai 500 metri sul livello del mare e sistemi viticoli su terrazze e gradoni.
Queste condizioni orografiche rendono impossibile la meccanizzazione, costringono l’agricoltore a compiere tutte le operazioni colturali manualmente, con un forte dispendio di energie e in tempo doppio (circa 1500-2000 ore/ha) rispetto ad una viticoltura di collina. Si parlerà quindi di “Agricoltura eroica” per indicare tutte le colture praticate in territori che presentano tali caratteristiche.
L’agricoltore di montagna svolge anche l’importantissimo ruolo di guardiano del territorio in quanto si occupa di monitorare il suolo per prevenire eventuali dissesti idrogeologici e tutelare il paesaggio, componente essenziale dell’attività turistica.
Tutto ciò fa si che l’agricoltura conservativa rivesta un ruolo fondamentale e che che continui ad essere praticata e ripresa in tutte quelle aree che negli ultimi anni hanno assistito al fenomeno dell’abbandono.
Il vigneto di Marco dell’azienda Barone di Villagrande, così come tutti quelli presenti sulle pendici dell’Etna, presentano tutte le caratteristiche che ne rendono “eroica” la loro coltivazione.
Il 46% delle superfici in cui si pratica la vitivinicoltura di montagna ricade nella provincia di Catania (ISTAT 2010). In questa provincia, la produzione vitivinicola comprende grosso modo due grandi areali collocati sul versante nord-orientale dell’Etna (con la realizzazione dell’Etna DOC) e nella zona del Calatino, a ridosso della provincia di Ragusa (impegnata nella produzione del Cerasuolo di Vittoria DOCG).
Fin da epoche remote la ricchezza del suolo vulcanico ha permesso alle popolazioni etnee di vivere di agricoltura e allevamento, costruendo un ambiente armonicamente inserito in quello naturale. I paesaggi agricoli sono multiformi e sono inseriti fra i boschi e le colate laviche, formando così un mosaico ambientale di rara bellezza.
La presenza millenaria dell’uomo sul vulcano ha lasciato un’impronta profonda nel paesaggio e nell’ambiente: le opere di terrazzamento, i magazzini, i palmenti e le cantine sono ampiamente presenti sulle pendici. In questo modo il mantenimento e il recupero dell’agricoltura, svolti seguendo le esigenze ambientali, sono lo strumento per il mantenimento del paesaggio etneo.
Seguendo proprio queste regole, il Parco dell’Etna presta molta attenzione a tutti i metodi di coltivazione in grado di offrire dei prodotti sani nel rispetto dell’ambiente e della salute degli agricoltori.
Le colture presenti sulle pendici dell’Etna sono molte, alcune delle quali sono uniche e testimoniano la vocazione agricola del territorio, è il caso di alcune varietà locali. Le mele “Cola”, “Gelato” e “Cola-Gelato” piccole, gialle e fragranti o alle pere autunnali come la “Ucciardona” o la “Spinella” utilizzata nella cucina tradizionale. Oltre a queste varietà tipiche locali, i vigneti, oliveti, pistacchieti, noccioleti e frutteti sono ampiamente diffusi e circondano il vulcano.
L’Etna offre quindi un vasto patrimonio di biodiversità da tutelare e diffondere per mantenere un’eredità importante che può essere uno dei caratteri distintivi dell’agricoltura praticata sulle pendici del vulcano.
La Viticoltura etnea
Il particolare microclima del comprensorio etneo ha caratterizzato la coltura della vite e la produzione di vino sin dall’antichità, infatti la presenza della vite e la produzione del vino sulle pendici del vulcano Etna risalgono ad epoche remote. Omero, Virgilio, Plinio, Strabone parlano nei loro scritti della qualità dei vini etnei e della fertilità del vulcano. La presenza della vite già in epoca terziaria è provata dal ritrovamento di viti selvatiche rinvenute sulle falde dell’Etna. La produzione vitivinicola etnea entra nella storia nel VIII secolo a.C. con i coloni greci, che introdussero la forma di allevamento nota come alberello egeo.
In seguito anche i romani hanno continuato la coltivazione e la diffusione della vite. Le popolazioni etnee devono alla vite e al vino una parte determinante della propria civiltà. Le vigne etnee, nel tempo, hanno subito numerose e profonde trasformazioni e sono divenute un elemento caratterizzante del paesaggio antropico. La viticoltura etnea, essendo posta su terreno collinare e montano, si sviluppa su terreni terrazzati di piccola e media larghezza. Generalmente, all’interno dei vigneti, si trovano manufatti rurali che possono comprendere “palmenti” (parte del fabbricato destinato alla lavorazione delle uve) e cantine. ( Ente Parco dell’Etna)
Tra il ‘700 e la fine dell’800 la viticoltura etnea assunse vaste proporzioni, grazie al fiorente commercio marittimo. Nel XIX secolo Catania, con il territorio viticolo dell’Etna, raggiunse la massima superficie vitata con circa 8.000 ettari. Nel ‘900 la fillossera e la grande crisi commerciale determinarono una forte diminuzione della superficie vitata. Dopo la crisi economica del 1960 la vitivinicoltura dell’Etna si è andata sviluppando seguendo i modelli viticoli ed enologici più moderni (Fonte: CERVIM).
L’Ente Parco, mirando all’integrazione tra protezione ambientale e promozione delle attività economiche, tutela e promuove la vitivinicoltura etnea quale “inestimabile patrimonio ereditato” da custodire, valorizzare e far conoscere e quale settore economico di primaria importanza. Tale obiettivo è raggiungibile attraverso la salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale etneo, l’incentivazione al miglioramento e alla stabilizzazione dei parametri qualitativi delle produzioni e la promozione dell’immagine del prodotto legato al suo territorio. Di pari passo con molteplici iniziative tecnico-amministrative, rivolte al settore e con l’adesione in qualità di socio ad Organismi quali il CERVIM (Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana), l’Associazione Nazionale “Città del Vino” e la “Strada del Vino dell’Etna”, l’Ente Parco promuove svariate manifestazioni di notevole interesse regionale, nazionale e internazionale.
I vigneti del Parco dell’Etna coprono una superficie di circa 3.000 ettari, di cui 2.700 ha in aree con difficoltà strutturali (altitudine, forte pendenza, terrazzamenti). Infatti gli ettari di vigneto posti ad altitudine superiore a 500 m.s.l.m. sono ben 2.700 e quelli su terrazzamenti circa 2.250 ha. La produzione di vini D.O.C. è assicurata da circa 1.100 ettari (Fonte: CERVIM).
Il 50% delle aziende ha una superficie compresa tra 0,2 ed 1 ettaro, il 40% inferiore a 0,2 ha e solo il 2% delle aziende si estende per più di 3 ettari.(ISTAT 2010). Ciò testimonia l’estrema frammentazione delle proprietà che si ripercuote negativamente sui costi di gestione e il processo di ristrutturazione aziendale. Infatti i vigneti conservano ancora inalterati gli elementi caratteristici del ‘700: appezzamenti irregolari, stretti terrazzamenti con muretti a secco in pietra lavica, “torrette” di pietre , piccole case oppure eleganti dimore, talvolta complete di cantina, che erano la residenza dell’alta borghesia. Sono proprio questi elementi che rendono unico il paesaggio, ma ne rendono molto difficile la coltivazione. Infatti la meccanizzazione è possibile sono in pochi casi, in quei vigneti che sono stati modificati, e non è possibile in quelli tradizionali in cui il sesto di impianto non è regolare, le piante non sono disposte in filari ma ai vertici di un triangolo e l’accesso ai terrazzamenti è consentito solo attraverso delle ripide scale.
I principale vitigni autoctoni coltivati sono: Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Carricante, Catarratto bianco comune, Inzolia da cui si ottengono i i vini EtnaD.O.C. (rosso, bianco e rosato).
Appare evidente come il ruolo della meccanizzazione risulti fondamentale in questo processo di tutela del territorio e delle tradizioni locali in quanto permette di ridurre i tempi di lavoro, costi e aumentare la sicurezza degli operatori in campo.
Il mezzo che oggetto di prova in campo si caratterizza per le ridotte dimensioni, larghezza variabile da 80 a 100 cm che ne rende possibile il transito tra i filari dei vigneti, snodo centrale, che permette ridottissimi spazi di manovra e la possibilità di applicare svariate macchine operatrici, trinciaramaglie, atomizzatore, prepotatrice, sfogliatrice, etc.
In foto il porta attrezzi Vitrac, oggetto della nostra giornata dimostrativa, un veicolo flessibile ed estremamente maneggevole e, nel contempo confortevole e facile da manovrare anche sui pendii più ripidi, in grado di accogliere gli attrezzi più complessi.